SHAKESPEARE E LA GIUSTIZIA* Vincenzo Accattatis Una premessa. La rivoluzione inglese del XVII secolo deve essere vista come momento importante della storia delle istituzioni occidentali: giudici soggetti alla legge, quindi al potere del parlamento, ma tutelati dal parlamento nei confronti delle pretese dell’esecutivo. È stata cosí scritta una pagina fondamentale dell’assetto moderno della divisione dei poteri. Secondo A. V. Dicey, due aspetti, in ogni tempo, a partire dalla conquista dei normanni, hanno caratterizzato la politica istituzionale inglese: il principio dell’onnipotenza del parlamento e quello della supremazia della legge (1). Ma, se ciò è vero, non è meno vero che tali principi hanno effettivamente trionfato in Inghilterra solo a partire dalla rivoluzione del XVII secolo. E il giudice Edward Coke è stato fra i primi e i piú determinati sostenitori del principio per cui anche il re doveva essere ritenuto soggetto alla common law come interpretata dai giudici. Il 13 novembre 1608, davanti a Giacomo I, che aveva riunito i “suoi giudici” in assemblea, per affermare che dovevano ubbidire ai suoi ordini, Coke dichiarò con fermezza che le cause dovevano essere decise non già secondo «il volere del re», ma secondo «la legge inglese», e che i giudici - solo i giudici - erano i depositari delle leggi. «Ciò significa» - replicò Giacomo I, con indignazione - «che anche io sarei soggetto alla legge (that I shall be under the law)? Affermazione sediziosa» (which it is treason to affirm) (2). La “ribellione” dei giudici al re e la loro rivendicazione di autonomia sono da vedere come un presupposto fondamentale della rivoluzione inglese del XVII secolo (3). Nel Leviatano, polemizzando con Coke, Thomas Hobbes conclusivamente sosteneva: «in tutte le corti di giustizia colui che giudica è sempre il sovrano, il giudice è subordinato e deve avere ben chiare le intenzioni del sovrano, in modo che la sua sentenza esprima non la sua volontà ma quella del sovrano» (4). Tutti conoscono l’esito della storia, importante per il trionfo dei principi di legalità e di divisione dei poteri: a vincere non fu Hobbes, alleato con la monarchia di origine feudale, ma Coke, alleato con la nascente borghesia (5). Per intendere il ruolo dei giudici, occorre tener presente che in quel tempo la Corona inglese non aveva né eserciti stabili, né un apparato di polizia alle sue dipendenze, e neanche un esteso e ramificato apparato di funzionari amministrativi (simile a quello francese). In periferia poteva far sentire la sua presenza e la sua voce esclusivamente attraverso il clero e i “suoi giudici” (6). Questo, in estrema sintesi, il quadro istituzionale da tener presente per intendere appieno la problematica shakespeariana relativa alla giustizia - tenendo presente che Shakespeare è contemporaneo di Giacomo I Stuart e di Coke, e che Giacomo I è patrono della sua compagnia teatrale. «La prima cosa da fare è ammazzare tutti gli avvocati» (7) - parla il rivoltoso Jack Cade, che contesta la struttura del potere e i giudici: «va bene, signori, alcuni vadano a demolire la Savoy, altri le scuole di diritto». Radere tutto al suolo, ma Shakespeare ridicolizza l’idea che si possa instaurare una società migliore per via di rivolte (8): non ci crede, è figlio di un mercante, uomo d’affari, imprenditore. Comunemente si afferma che, in un’ottica legge e giustizia, i drammi piú significativi di Shakespeare siano Il mercante di Venezia e Misura su misura (9). Ma ritengo arbitrario individuare solo in questi pochi drammi la trattazione di tali temi, perché la si trova in molti: la tematica generale legge-giustizia può essere rinvenuta anche in drammi che non ne trattano espressamente. Per esempio, in Timone d’Atene, Shakespeare non parla diffusamente di legge e giustizia, però pur sempre di proprietà, di ipoteche, di creditori, di debitori, di denaro: il «rosso metallo» è in grado di trasformare «pietà, timore, devozione agli dei, pace, giustizia» nel loro opposto; l’oro è capace di rendere «nero il bianco, bello il brutto, diritto il torto»; allontana il prete dall’altare, «scioglie e annoda i sacri vincoli, benedice il maledetto, onora il ladro e gli dà rango». È in questione la «bilancia del potere [...] la base materiale sulla quale riposa lo Stato e la giustizia» (10). Shakespeare non è solo un grande poeta, ma è anche un grande uomo di cultura, ed è grande poeta in quanto grande uomo di cultura: nell’opera di Shakespeare si trova il fermento di tutto il mondo moderno. Nell’Amleto tratta di law’s delay, come dire di giustizia ritardata, che è giustizia negata, e tratta anche degli avvocati. Amleto parla al becchino nel cimitero: «eccone un altro. Potrebbe essere il teschio di un lawyer?». Dove sono ora «i suoi quid, i suoi quolibet, le sue cause, le sue carte e i suoi trucchi. Questo galantuomo è stato forse un gran compratore di terre, con atti, mallevarie, caparre, doppie garanzie e ricuperi [...]. Non è ora garantito con doppia garanzia ...?» In Il mercante di Venezia piú che di giustizia Shakespeare tratta di sistemi economici, e c’è quello rappresentato da Antonio, il buon mercante di Venezia, il mercante di buon cuore (vecchio stampo), e quello rappresentato invece da Shylock (il mercante rapace) - Shakespeare si colloca dalla parte di Antonio e anche Porzia, la giurista sottile, si schiera in favore di Antonio (non “al di sopra delle parti”). Tuttavia da Il mercante di Venezia emergono varie questioni attinenti alla giustizia: chi nomina i giudici? È il giudice (l’interprete), che, in definitiva, regola il rapporto fra le parti, poiché la sua interpretazione del contratto è legge fra le parti. Il legislatore fa le leggi, ma il giudice le interpreta, ed è questo il momento definitivo e finale del diritto, il momento in cui diventa concreto. Ancor oggi si discute se la migliore interpretazione del contratto sia quella data da Shylock o da Porzia (11). Sta di fatto che prevale quella di Porzia. E Il mercante di Venezia introduce due nuove espressioni nel linguaggio inglese: a pound of flesh («un’esorbitante controprestazione») e shylock. Misura su misura, una dark comedy, tratta di grazia, giustizia, clemenza. Propone un sistema di “buon governo” fatto non di rigida applicazione della legge, di giustizia implacabile, ma di flessibilità, di common sense. Qui Shakespeare affronta il problema del potere delegato e della necessità che sia controllato. Da chi? Da colui che delega, ovviamente, dal re, dal duca, dal sovrano. Il delegato deve seguire la volontà del delegante. Misura su misura è un’opera composta fra il 1603 e il 1604. Il dramma viene rappresentato a corte la notte di Santo Stefano del 1604, in omaggio al re. Il duca (il re, il sovrano) è il vero protagonista del dramma. È lui la legge che deve essere applicata in modo imparziale, è lui la giustizia, mentre Angelo è il potere delegato che non è all’altezza delle sue funzioni per ragioni passionali: afferma che per applicare la legge condannerebbe finanche suo figlio, ma afferma il falso, è uomo che cede alle passioni, che non riesce a essere imparziale. Per Shakespeare l’imparzialità del buon amministratore, del giudice, non è un dato, è invece una conquista, effetto di lungo studio. Con la cultura, dice, l’uomo «smussa il filo dei suoi istinti». Come in Il mercante di Venezia anche in Misura su misura è svolto il tema della clemenza. La clemenza scende come pioggia dal cielo (It droppeth as the dentle rain from heaven), è due volte benefica: per chi la dà e per chi la riceve. Si addice al monarca piú della corona: «nessun attributo con cui si onorano i grandi della terra, né la spada del vicario, né il bastone del maresciallo, né la toga del giudice. conferisce loro la metà del prestigio che viene dalla clemenza». In Misura su misura Shakespeare affronta un altro tema cruciale: condannare il peccato o anche il peccatore? Condannare il delitto ma non l’autore del reato? Quale giustizia sarebbe mai quella che condanna il peccato ma non il peccatore? Il delitto (il peccato) è condannato dalla norma. Il giudice è chiamato a condannare l’individuo in concreto, applicando la legge, ma a condannare non con il gusto di condannare, non in modo spietato. Il giudice deve essere integro. I ladri hanno diritto di rubare quando i giudici rubano (thieves for their robbery have authority when judges steal themselves): «chi vuole impugnare la spada del cielo dovrebbe essere non meno santo che severo; essere egli stesso di esempio, avere virtú per resistere e virtú per agire, essere piú severo con se stesso che con gli altri». Vergogna per Angelo, che punisce crimini che egli stesso intende commettere! A questo punto il Grande Bardo si scatena: il giudice, con tutte le sue insegne, i suoi titoli, i suoi gesti calcolati, può essere un arch villain. Il giudice può apparire un santo, ed essere marcio dentro, può essere «una cloaca con angeliche apparenze». Spesso le (buone) reputazioni sono costruite sui delitti «e la legge, tenue ragnatela, cattura i moscerini ma non è in grado di catturare e trattenere i mosconi» (How may likeness made in crimes, making practice on the times, to-draw with idle spiders’ strings most ponderous and substantial thins!) - questa frase ha fatto il giro del mondo. Altro tema: il potere delegato che copre il potere delegante. A mio avviso, Posner dà un’interpretazione riduttiva di questo importante passo di Misura su misura. Parla del «cinismo del duca», del duca che sembra aver letto Machiavelli. Penso, invece, che Shakespeare tratti di una funzione propria, connaturata, specifica del potere delegato e della giustizia delegata in particolare, della giustizia pretesa indipendente e, invece, influenzabile, che svolge funzione di copertura del potere. Occorre riattivare il vigore delle leggi, dice il duca all’inizio del dramma, riattivarle senza però che il rancore del popolo ricada su di me: il popolo si è sfrenato, ho dato pieni poteri ad Angelo, «che potrà colpire senza che io sia esposto». Anche dall’Enrico IV, prima e seconda parte, emerge la problematica della giustizia e della legalità. Di grande interesse sono i dialoghi fra Lord Chief Justice e Falstaff, fra Lord Chief Justice e il re. Lord Chief Justice parla della «potenza della legge e della giustizia». Il re si sottomette alla legge. Nell’Enrico V Shakespeare tratta della società ordinata, dello Stato, delle funzioni dello Stato e dei funzionari. Le api hanno re e funzionari, magistrati che impongono la disciplina (some, like magistrates, correct at home), mercanti (merchants, venture trade abroad), facchini «che per le strette porte portano con fatica i loro pesanti carichi». Con «tetro mormorio» i giudici «consegnano ai carnefici i pigri e sonnacchiosi».
1) A. V. Dicey, “Introduction to the Study of the Law of the Constitution”, London, Macmillan, 1952, p. 183 ss.
*Pubblicato sul Ponte, settembre 2010 con titolo "Secondo la legge" |