Da: Il sovrano prigioniero Invarianti, n.27 nov.1995 Referendum (plebiscito) Vincenzo Accattatis I referendum in Italia sono nati dai plebisciti fatti ad imitazione di quelli francesi. La storia dei referendum italiani non può non iniziare quindi che dalla storia dei plebisciti bonapartisti; dal mito della democrazia diretta trasformatosi, dopo la rivoluzione francese, in bonapartismo. La procedura che i Bonaparte chiamavano plebiscito e che De Gaulle chiama, invece, referendum è una “originalità costituzionale” dei due Imperi e della V Repubblica, un’originalità francese. È stato affermato che non è possibile segnare una precisa distinzione fra “plebiscito” e “referendum”. Sul piano politico va affermato che il plebiscito scioglie nodi costituzionali fondamentali ed intricati, mentre il referendum, disciplinato dalle varie costituzioni, riguarda l’ordinaria amministrazione. Precisato questo concetto di fondo, è da aggiungere subito che i “referendum” gollisti sono da considerare plebisciti nella più schietta tradizione Bonapartista. Il termine “referendum”, scelto da De Gaulle, serve solo ad occultare la indicata, diretta derivazione; rientra, cioè, fra le manipolazioni del tipo bonapartista. L’essenza politico autoritaria del plebiscito sta, comunque, precisamente in questo: è l’autocrate, dotato di potere politico e capace di influenzare la pubblica opinione, a porre la domanda nel momento da lui ritenuto più appropriato perché, nella democrazia passiva e ampiamente manipolata, i cittadini rispondano con un “sì” o con un “no”, firmando, così, in favore dell’autocrate (dietro al quale si raggruppano precisi interessi) mandati in bianco. Nella dichiarazione del 31 dicembre 1851 Luigi Napoleone indica un’altra precisa funzione dei plebisciti: quella di assolvere gli uomini politici dai loro pregressi misfatti. In particolare dai colpi di stato. Il plebiscito “taglia”, rispetto al passato, apre un capitolo nuovo, fonda una diversa legalità. Il potere costituente appartiene al popolo – lo aveva insegnato Sieyés, mèntore di Napoleone I – sicché chi è investito dell’autorità dal popolo direttamente è al di sopra delle leggi, è la “vivente” costituzione. Come Napoleone III, de Gaulle, per ratificare le sue azioni passate, è saldamente antiparlamentare. È questa la tradizione bonapartista che si ritrova pari pari, ancor oggi in Italia. Si potrebbe descrivere il bonapartismo in termini di vocabolario: nuovo, instaura il “nuovo ordine”, mentre i “partiti” sono il vecchio; vecchia è la politica come fatto di partecipazione di massa; vecchia è la libertà di stampa [<=], di associazione. Il “nuovo”, in assoluto, è il dittatore che dètta i criteri del vecchio e del nuovo. Nuova è la politica dei notabili e delle combriccole, nuova è la giustizia ampiamente manipolata, nuovi sono i giudici-funzionari pronti a sedersi sul carro del vincitore. In linea di principio, il referendum contrasta con il sistema rappresentativo, con il principio di supremazia del parlamento. È per questo che negli Stati Uniti ed in Germania, a livello nazionale, non è stato introdotto ed in Gran Bretagna è stato introdotto in maniera limitata ed in modo da renderlo del tutto compatibile (da fonderlo, si potrebbe dire) con il sistema rappresentativo. Il referendum contrasta con la democrazia partecipativa garantita dal sistema dei partiti in competizione democratica fra di loro. In Gran Bretagna i referendum vengono decisi di volta in volta dal parlamento su limitati e precisi oggetti. In altri termini, ogni referendum ha le sue regole. Il principio della democrazia diretta è reso così compatibile con quello dell’assoluta sovranità del parlamento. La diffidenza tedesca verso i referendum nasce dalla consapevolezza che essi si prestano alle manipolazioni. Essa deriva anche dal fatto che lo Stato federale è uno “Stato dei partiti”. Gli Stati Uniti non conoscono il referendum a livello federale, lo conoscono solo a livello locale, ma non tutti gli stati ammettono i referendum. Ma i magnati americani, le Corporation si sono impossessati dello strumento di “democrazia diretta” e lo hanno piegato ai loro fini. Negli Stati Uniti, ancora una volta la “ricchezza” ha vinto, ha avuto il sopravvento. I referendum sono stati usati in America – come anche, largamente in Italia – per eliminare “lacci e lacciuoli”. La Costituzione italiana ammette tre tipi di referendum [<= #2]: 1) l’art.75 prevede il referendum abrogativo delle leggi ordinarie; 2) l’art.132 prevede il referendum regionale; 3) l’art.139 prevede il referendum costituzionale facoltativo relativo alle leggi di revisione costituzionale. Consapevoli delle manipolazioni alle quali i referendum sono soggetti, i Costituenti italiani hanno ammesso i referendum in limiti ben precisi, ma la Corte costituzionale li ha enormemente allargati. In particolare ha allargato il concetto di referendum abrogativo trasformandolo in referendum manipolativo-propositivo di indirizzo politico. Precisamente ciò che i costituenti hanno normativamente escluso. La Corte costituzionale ha consentito ed ha avallato la manipolazione. Una sua grave responsabilità. Un referendum formalmente abrogativo-manipolativo ma sostanzialmente propositivo “giuridicamente” è un referendum propositivo. Solo nella terra di Azzeccagarbugli la Corte costituzionale può pretendere di far passare per “giuridicamente abrogativo” (e quindi, costituzionalmente ammissibile) un referendum “sostanzialmente propositivo”. L’occasione per affrettare l’introduzione del referendum è stata costituita dal dibattito per l’introduzione del divorzio. Nel frattempo, la Dc si era dotata del potere di eliminarlo per via di ... “democrazia diretta”, secondo l’esperienza populista degli Stati Uniti; ma ha sbagliato i suoi calcoli ed ha perduto il referendum. L’istituto referendario è divenuto però in Italia, finalmente, attivo ed a disposizione delle lobby. A partire dalla sua introduzione il referendum in Italia ha avuto un graduale slittamento in senso plebiscitario. Il referendum abrogativo è divenuto gradualmente ma sempre più marcatamente propositivo (per via di manipolazione normativa). La proposta di ammettere i referendum propositivi è stata espressamente respinta per evitare le strumentalizzazioni di carattere politico. La dottrina costituzionale italiana ha ravvisato nella normativa costituzionale “una ratio di fondo”, peraltro chiaramente emergente dalle norme, “intesa a sottrarre al referendum abrogativo” ogni legge di indirizzo politico, mentre la Corte costituzionale si è orientata in senso contrario. Il culmine è stato raggiunto quando la Corte costituzionale ha ammesso i referendum in materia elettorale. Il che significa che in Italia interessano solo i referendum “politici”. Precisamente, i referendum che tendono ad essere plebisciti (quelli vietati dalla Costituzione ma ammessi con deplorevole larghezza dalla Corte costituzionale). Qui è possibile in effetti vedere un “governo dei giudici”, dietro pressione delle lobby, del tipo di quello che si è verificato negli Usa. Oggi in Italia si parla di adeguare la Costituzione al sistema elettorale maggioritario (con essa incompatibile). Si è già affermato che l’essenza autoritaria del plebiscito bonapartista sta nel fatto che è l’autocrate a porre le domande nel momento da lui ritenuto opportuno. Ebbene, nel referendum le domande in effetti non le pongono i cittadini ma le lobby spesso appoggiate dai partiti di governo. È qui l’essenza autoritaria del referendum. La democrazia diretta storicamente è stata (quasi) sempre una democrazia manipolata. La comprensibilità dei quesiti da parte del “popolo sovrano” è il presupposto primo dell’esercizio della democrazia diretta in senso democratico [<=]. Un popolo sovrano costretto a decidere in base a quesiti incomprensibili – e, in sostanza, in base al colore delle schede – è, certamente, un popolo “sovrano” manipolato. La Corte costituzionale ha ammesso quesiti che, invece, non dovevano essere ammessi per assoluta mancanza di chiarezza. La chiarezza deve essere infatti commisurata alla capacità del popolo sovrano di intendere “direttamente” (stiamo discutendo di uno strumento di democrazia diretta), leggendo il quesito, la scelta da fare. I referendum di tipo manipolatorio, con quesiti incomprensibili da parte del “popolo sovrano”, non realizzano la democrazia diretta; sono invece – palesemente – strumenti utili alle lobby ed ai demagoghi. Può accadere così – accade quasi sempre – che le lobby si impossessino dello strumento-referendum ai propri fini distorsivi. In tal caso l’operazione di lobby risulta chiara dai quesiti oscuri ed incomprensibili, visto che alle lobby non interessa la democrazia diretta, interessa invece realizzare i propri risultati utilizzando lo strumento della “democrazia diretta”. Le lobby agiscono in parlamento. Agiscono premendo sui giudici. Agiscono attraverso lo strumento della democrazia diretta. Ogni strumento è buono per raggiungere gli scopi e gli utili che le lobby si prefiggono. |