Il ponte, settembre 2008

MANZONI E LA GIUSTIZIA

Vincenzo Accattatis

Nei Promessi sposi Manzoni ci parla della giustizia italiana del diciassettesimo secolo, ma anche, per larga parte, di quella attuale [1]. Attualissimo il dialogo fra Renzo e Azzeccagarbugli: «ditemi il fatto ...»; «all’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi poi a imbrogliarle»; «ho cavato altri dai peggiori imbrogli: purché non abbiano offeso persona di riguardo»; «chi è l’offeso, quale è la sua condizione?». Stabilirà poi Azzeccagarbugli se «attaccarlo in criminale o in civile». A «saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente».

Azzeccagarbugli: «una cima d’uomo». Quando sente il nome di don Rodrigo, del potente di turno, del prevaricatore di turno, «aggrotta le ciglia, storce la bocca», interrompe immediatamente la conversazione.

«Alto, asciutto, pelato, col naso rosso e una voglia di lampone sulla guancia». Quando Renzo va nel suo studio professionale con i capponi in mano, Azzeccagarbugli fa sfoggio della sua professionalità: «questa grida sembra fatta a posta per voi: “Si testifichi o non si testifichi ...”». E poi, ancora: «Chi dice le bugie al dottore ... dirà la verità al giudice».

Azzecca-garbugli, Quibbler (fastener of tangled threads) [2]: molti credono che sia proprio questo il mestiere dell’avvocato [3]. Posner non si dilunga. Avesse approfondito, avrebbe dovuto dire che, soprattutto negli Stati Uniti, molti lo pensano. «Ingenuamente credendo che la legge sia legge», scrive Posner, Renzo vuole sposare Lucia. Incontra un ostacolo. Va dall’avvocato Azzeccagarbugli che è prontissimo a difenderlo se lui è un bravo che si è tagliato il ciuffo, ma subito arretra quando sente il nome di don Rodrigo: cosa mai mi va raccontando, benedetto ragazzo, si riprenda i suoi capponi e vada via ...

Il diritto e i tiranni

Il convento dei Cappuccini è luogo di giustizia, ma priva di garanzie. Padre Cristoforo è un giusto, ma non è inamovibile.

Il padre provinciale, superiore gerarchico di padre Cristoforo, siede alla tavola del conte zio. Dopo il pranzo, si apparta e confabula con lui. Padre Cristoforo non è presente. Nessuno è presente e padre Cristoforo viene trasferito in luogo remoto. Splendida la conversazione fra il conte zio e il padre provinciale: «sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire». «Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi ...». La storia di Renzo e Lucia viene completamente stravolta. Il conte zio chiede di «sbrigarlo dal frate», e il padre provinciale lo fa.

«Perché padre Cristoforo è stato mandato a Rimini?», chiede Agnese al portiere del convento. «Perché cosí ha voluto il padre provinciale». Non deve essere richiesta altra spiegazione. Cosí ha voluto la gerarchia, cosí hanno voluto i “superiori” che devono essere rispettati, che non devono rendere conto agli inferiori: «se i superiori dovessero render conto degli ordini che danno, dove sarebbe l’ubbidienza, la mia donna?».

Manzoni descrive una struttura di potere che non solo era reale in quel tempo, ma in parte perdura ancora. Tratta del tiranno don Rodrigo e del tiranno «salvatico», l’Innominato. Il tiranno selvatico viene assorbito nel corso del tempo, mentre il tiranno che ha molte relazioni e vuol godere vive ancora. Baroni e borghesia nascente sono collegati fra loro per opprimere. Chi è il naturale mediatore? È il prete – nello Stato laico dovrebbe essere il giudice –, il ministro di Dio che, secondo il principio apostolico, deve mettersi dalla parte degli oppressi. L’“ideale del prete” è padre Cristoforo. La giustizia ideale, cattolica, con pietà. «Il poeta (perché tutto questo è poesia) sceglie fra i cappuccini un individuo» pieno di energia, che non vive per sé ma per gli altri, per fare del bene agli altri. Sceglie un cappuccino consacrato dalla sua missione. Come i cavalieri erranti dei tempi antichi, padre Cristoforo «diviene cavaliere errante di Cristo». Consacra la sua volontà, la sua vita a un ideale di giustizia, ma padre Cristoforo esce «un po’ troppo dalla vita reale». Di fronte a lui vi è l’ombra piccina di don Abbondio, di un prete non all’altezza della sua missione [4].

Mancanza dell’istituzione giustizia, aspetto particolare della mancanza dello Stato. Se si vuole è lo stesso problema posto da Thomas Hobbes. Manzoni risolve tuttavia il problema in modo diverso: non il Leviatano a cui tutti sono sottomessi (anche i don Rodrigo), ma una società civile che a grado a grado cresca, partendo da ciò che già è acquisito.

Che cosa è acquisito nel Seicento in Lombardia? Un sistema industriale appena agli albori, le parrocchie, i vescovi, i frati. Un contadino (Renzo), diviene artigiano, poi imprenditore ... Fra mille ostacoli il contadino-artigiano riesce a far valere il suo diritto di sposarsi. La lotta per il diritto: anche questo è un tema dei Promessi sposi, non il minore; ma, per Manzoni, il matrimonio non è solo un contratto (e, per coloro che intendono sposarsi, un diritto), è anche un sacramento. Vi tornerò in seguito.

Don Chisciotte e padre Cristoforo

Nei Promessi Sposi è presente la cultura del Don Chisciotte. Alla tavola di don Rodrigo c’è «trambusto», voci discordi cercano a vicenda di soverchiarsi. Il conte Attilio tiene banco. Il podestà («quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo»), siede a tavola. «In cappa nera», c’è anche Azzeccagarbugli. I commensali discutono animatamente di vicende cavalleresche, mentre padre Cristoforo, seduto, in silenzio, pensa a Renzo e a Lucia. Poi don Rodrigo e padre Cristoforo si appartano: «Vengo a proporle un atto di giustizia, dice padre Cristoforo, a pregarla d’una carità. Cert’uomini di mal affare hanno messo innanzi il nome di vossignoria illustrissima, per far paura a un povero curato, e impedirgli di compiere il suo dovere. Lei può con una parola, confondere coloro, restituire al diritto la sua forza». Restituire al diritto la sua forza. Le «gride»: il diritto senza forza e il diritto con forza. Il diritto sulla carta e il diritto che diviene effettivo, che garantisce i diritti, che porta i trasgressori in prigione. Dietro il diritto ci deve essere una forza capace di farlo valere, ma da dove proviene questa forza? Dalle classi? Nulla è piú lontano dal pensiero del Manzoni. Le classi non esistono. Marx non ha ancora elaborato le sue concezioni e, quando le elabora, ovviamente Manzoni non le accetta; eppure Manzoni, come ogni persona di buon senso, intende chiaramente che c’è un diritto con forza e un diritto senza forza. Manzoni denuncia il diritto senza forza che non è diritto.

«Lei non è venuto al mondo col cappuccio in capo», dice don Rodrigo, dopo che padre Cristoforo ha parlato. Come dire, fra uomini di mondo ci si intende. Lasciamo le ubbie alla gente semplice. Accordiamoci. Io sono stato sempre amico dei cappuccini. Li rispetto. Renzo e Lucia avevano «il diritto» di sposarsi. Ma quale diritto?, dice in sostanza don Rodrigo. Il diritto non esiste. Il diritto è del piú forte. Don Abbondio ha il dovere di sposare Renzo e Lucia, questa è la legge. Non li sposa solo perché è intimidito, dice padre Cristoforo. Don Rodrigo si avvede che padre Cristoforo non intende ragioni ed esplode: «villano temerario, poltrone incappucciato».

Nell’affermazione «lei non è venuto al mondo col cappuccio in capo» è implicito tutto il discorso sull’uomo che sta sotto la tonaca, e la toga. Sotto la toga c’è un giudice in carne e ossa, con tutti i suoi limiti umani (don Abbondio è il simbolo dei limiti umani). Si può intimidirlo, si può corromperlo; se resiste, lo si attacca.

«Anche nei suoi soprusi e nelle sue birbonate» – ci dice Luigi Russo – «don Rodrigo non vuole mai romperla con la legge». Don Rodrigo «è un birbante legale» che si avvale delle sue relazioni e protezioni. Coltiva l’amicizia delle «persone alte, tiene una mano sulle bilance della giustizia ... per farle ad un bisogno traboccare dalla sua parte, e per farle sparire, o per darle anche, in qualche occasione, sulla testa di qualcheduno» [5]. Servirsi della giustizia, asservirla, intimorirla, corromperla se del caso. È anche un quadro della giustizia del nostro tempo?

Anche Don Ferrante, esperto di cavalleria, è una specie di don Chisciotte. Concetti importanti che emergono dal Don Chisciotte sono ripresi dal Manzoni. Per esempio il concetto che i cavalieri erranti non possono essere sempre presenti a protezione del debole. Quando si allontanano – o vengono allontanati – che cosa accade? [6] «Bisognerebbe che vossignoria illustrissima fosse sempre qui, o almeno vicino», dice don Abbondio al cardinale Borromeo. E ancora: «Vossignoria illustrissima non può essere per tutto». La giustizia dei cavalieri erranti – anche quella dei cavalieri erranti di Cristo – ha, quindi, un suo preciso limite: molto spesso è assente. Naturalmente don Abbondio non dovrebbe invocare la presenza del cardinale Borromeo. Dovrebbe essere egli stesso il garante, come il cardinale gli ricorda.

La cultura della Riforma e della Controriforma

Un ulteriore profilo dovrebbe essere analizzato, ma qui non lo si può fare compiutamente. Per Manzoni il matrimonio non è un contratto, è un sacramento. I «promessi sposi» sono piú che «fidanzati» (la traduzione francese del titolo del romanzo di Manzoni, Les fiancés, è del tutto inadeguata), sono due “persone” (anche se in Manzoni non è del tutto chiaro il concetto di persona) che vogliono essere consacrate nel matrimonio, che è un rapporto non solo fra gli uomini, ma fra gli uomini e con Dio. Per un cattolico italiano la «promessa di matrimonio» è anche un rapporto giuridico, ma non è soltanto questo. La traduzione inglese del titolo del romanzo del Manzoni, The Betrothed – fidanzati impegnati in una reciproca promessa con valore giuridico – è piú centrata di quella francese, però anch’essa non coglie completamente il significato cattolico dell’espressione «promessi sposi».

Don Abbondio che per viltà non «celebra il matrimonio» contrasta il realizzarsi di un sacramento. È in grave peccato, e il cardinale Borromeo lo giudica. Era in gioco la mia vita, dice don Abbondio. E vi pare questa una giustificazione? Replica il cardinale.I Promessi sposi sono un romanzo di cultura religiosa. È questo il punto. Non poesia e non poesia, ma Dio o non Dio, immanenza o trascendenza. Il Manzoni degli Inni sacri non è molto lontano dal Manzoni dei Promessi sposi.

L’Europa vive la sua prima fase di rinnovamento con la Riforma. Gli Stati si emancipano dal dominio della Chiesa. In Inghilterra inizia il movimento che, nel XVII secolo, porterà alla prima rivoluzione borghese del mondo occidentale, ma nel XVII secolo la Francia resta soggetta al potere assoluto del re. Per sessant’anni, dopo la Fronda, non c’è stata in Francia nessuna seria sfida alla monarchia da parte dei nobili o dei parlamenti (potere giudiziario con venalità delle cariche). L’idea del diritto divino, eloquentemente esposta dal vescovo Jacques-Bénigne Bossuet (citato dal Manzoni con ammirazione) ha trovato in Francia la sua sistemazione fino al XVIII secolo [7]. Le iniziative di Richelieu, inclusa l’esecuzione del duca di Montmorency per tradimento (1632), hanno mostrato chiaramente ai sudditi – a tutti i sudditi, anche ai nobili – che la legge era una sola in Francia ed era nelle mani del re [8]. Sotto la legge del re la borghesia francese ha incominciato a crescere a spese della nobiltà e poi, nel XVIII secolo, è esplosa. Dopo la rivoluzione, la dittatura della borghesia, il bonapartismo.

Manzoni esprime la cultura di Bossuet, della Controriforma, dell’assolutismo e del bonapartismo. Non è un progressista[9][9]. Non è un democratico [10]. Poesia o non poesia? Io sto trattando della non poesia, della cultura del Manzoni, della cultura che emerge dai Promessi sposi e che l’Italia liberale e fascista ha reso “obbligatoria” nelle scuole. Non cultura progressista, ma cultura dell’obbedienza alle gerarchie, della rassegnazione, della donna sottomessa: «Perché padre Cristofaro è stato mandato a Rimini?». «Perché cosí ha voluto il padre provinciale». «Se i superiori dovessero render conto degli ordini che danno, dove sarebbe l’ubbidienza, la mia donna?» [11]. Il cavaliere errante di Cristo è inviato lontano e obbedisce.

Nei Promessi sposi c’è il governo delle leggi divine amministrate dai sacerdoti, dai vescovi, dal papa. Dio interviene direttamente nel mondo in modo provvidenziale [12]. La giustizia non è di questa terra. Agli occhi del Manzoni tutta la storia del mondo è un’epopea dell’ingiustizia. Il suo romanzo «è precisamente il poema della ingiustizia umana», non della giustizia, e sarebbe un romanzo pessimista, nota Russo, se l’ingiustizia umana non fosse corretta dalla giustizia di Dio, dalla Provvidenza [13]. Ma tu, «verme della terra», dice padre Cristoforo a Renzo, «tu vuoi fare giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia!». Questo brano meriterebbe ampio commento, ma me ne astengo. È su brani come questi che si appunta la critica di Gramsci. Tu, «verme della terra». Manzoni può essere considerato un democratico? È un liberale, dice D’Addio [14]. È un liberale cattolico all’italiana, per essere precisi.

La giustizia funzionale e disfunzionale

Il cardinale Borromeo impartisce a don Abbondio una lezione sui doveri del sacerdote che, per larga parte, è anche una lezione per il giudice cattolico. Ho presente la distinzione di Jacques Maritain: «action en chrétien» e «en tant que chrétien» [15].

Il cattolico, sacerdote o giudice che sia, deve collocarsi dalla parte del debole, deve proteggerlo, deve adoperarsi perché i suoi diritti siano rispettati. Il giudice cattolico non deve essere incline a condannare: «Io non vorrei altro che trovarvi senza colpa» – dice il cardinale Borromeo che giudica don Abbondio –, offritemi gli argomenti perché possa assolvervi e io sarò ben lieto di farlo; ma don Abbondio non li ha.
Manzoni tratta della giustizia non solo nei Promessi sposi ma anche nelle Osservazioni sulla morale cattolica. Il giusto può essere assimilato all’utile? No, è la sua risposta, il giusto e l’utile stanno su piani differenti: polemizza espressamente con Jeremy Bentham. Ma è il concetto benthamiano (e humiano) della giustizia che si farà strada in Europa a partire dal XIX secolo. Per Manzoni morale e diritto sono collegati, per Bentham devono, invece, essere scissi perché solo in tal modo si edifica la giustizia funzionale al sistema economico dato. Manzoni non vuole una giustizia funzionale al sistema economico dato.

Manzoni tratta della giustizia anche nella Storia della colonna infame [16]. I giudici che condannano degli innocenti, che fingono di vedere ciò che invece non si vede, che nascondono le prove. Gli sventurati che cercano di sfuggire di mano e non possono. L’opinione pubblica che preme. I giudici che non hanno la forza di resistere, che si piegano. «Un delitto che non c’era ma che si voleva» che ci fosse. Giudici che seguono la moltitudine. Gustave Le Bon avrebbe detto «la folla in tumulto”. La folla che tanto spaventa Manzoni. Due pesi e due misure («doppio peso e doppia misura»). Uomini «tutt’altro che scellerati> che agiscono da aguzzini. La banalità del male. Giudici “normali”, non peggiori degli altri: «Non seppero quello che facevano ... per non volerlo sapere». Rovesciata, è la massima fondamentale per un giudice democratico, per un giudice che vuole sapere ciò che fa, che vuole essere consapevole fino in fondo.


Note:

[1] Riprendo e sviluppo l’articolo Cervantes e la giustizia, «Il Ponte», n. 7, luglio 2007.
[2] R. A. Posner, The Problems of Jurisprudence, Harvard University Press, 1993, p. 400.
[3] Ibidem.
[4] Ho ripreso l’analisi di F. De Sanctis, Alberto Morano, Napoli, 1931, p. 222 ss.
[5] L. Russo, Personaggi dei Promessi Sposi, Bari, Laterza, 2002, p. 210 ss.
[6] Rinvio ancora al mio articolo Cervantes e la giustizia cit.
[7] Manzoni cita Bossuet con ammirazione nelle Osservazioni sulla morale cattolica, in Opere di Manzoni, Milano, Mursia & C., 1965, p. 1003.
[8] Per un’ampia analisi cfr. P. Deyon, La France baroque, 1589-16612, in Histoire de la France de 1348 à 1852, Paris, Larousse, 1987, p. 172 ss.; H. Kamen, L’Europa del Seicento, Milano, Ed. «Corriere della sera», 2004, p. 182 ss.
[9] Per la discussione della questione cfr. A. Moravia, «Introduzione» ai Promessi sposi, Torino, Einaudi, 1960; C. Salinari, La struttura ideologica dei Promessi sposi, «Critica marxista», n. 3-4, maggio-agosto 1974; E. Sanguineti, Glosse a Salinari, «Critica marxista», n. 3-4, maggio-agosto 1974.
[10] Per la discussione della questione, oltre i saggi citati nella precedente nota, cfr. F. De Sanctis, op. cit., p. 226 (concezione «eminentemente patriottica, eminentemente democratica, eminentemente religiosa»); A. Leone De Castris, L’impegno del Manzoni, Firenze, Sansoni, 1965; A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 83 ss., e Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 51 ss.; M. d’Addio, Manzoni politico, Lungro (Cosenza), Marco Ed., 2005.
[11] Per un’analisi della figura di Lucia, simbolo della donna sottomessa, cfr. G. Steiner, Antigones, Oxford, New York, Toronto, Oxford University Press, 1989, p. 10.
[12] Un saggio dovrebbe essere dedicato al concetto di Provvidenza in Bossuet e in Manzoni.
[13] L. Russo, op. cit., p. 238 ss.
[14] Cfr. M. d’Addio, op. cit.
[15] Il concetto di «persona umana», che tanto deve all’elaborazione di Maritain, ha le sue radici anche nell’elaborazione di Bossuet e di Manzoni. Di Bossuet, soprattutto. Nel suo Sermon sur l’eminente dignité des pauvres dans l’église, del 1659, Bossuet tratta dell’éminent dignité del povero (cfr. P. Deyon, op. cit., p. 227). Questo aspetto della storia del concetto-valore di «persona umana» è del tutto assente nel saggio di G. de Anna, «Persona: analisi storico-critica di una babele filosofica», in Individuo e Persona – con saggi anche di G. Boniolo e U. Vincenti – Milano, Bompiani, 2007. Il saggio di de Anna contiene un’analisi, inadeguata, dell’opera di Maritain.
[16] Cfr. A. Manzoni, Storia della colonna infame, in Opere di Manzoni cit. p. 779 ss.