Il ponte, giugno 2007

CERVANTES E LA GIUSTIZIA

Vincenzo Accattatis

Negli ultimi decenni negli Stati Uniti sono cresciute le analisi sul tema legge e letteratura [1]. Perché? La giustizia si va estetizzando? È una risposta possibile. Lo studio della letteratura da parte di un giurista, che dispone di suoi strumenti specifici di analisi, può avere lo scopo di fare intendere meglio i testi letterari, ma anche la letteratura è in grado di illuminare il diritto [2], nel senso che esplora molti temi giuridici, tenendo sempre d’occhio i sentimenti popolari. Letteratura e diritto è, quindi, un aspetto del piú vasto tema del rapporto fra democrazia e diritto. Che può ulteriormente articolarsi: sentimento popolare di giustizia, percezione della giustizia da parte del popolo, percezione della separatezza, disprezzo per la giustizia separata, ecc. Le celebri caricature di Honoré Daumier (nel piú vasto ambito del rapporto fra arte e giustizia) esprimono il disprezzo popolare per la giustizia di tipo bonapartista, della giustizia a servizio dei padroni, della giustizia di classe.

Daumier è un caricaturista, pittore, scultore, ammirato da Baudelaire, da Manet, da Monet, da Picasso. È il fondatore dell’impressionismo. Egli dipinge i costumi, le regole, la società, le istituzioni, la loro verità e le loro ipocrisie. Descrive i maledetti, i miserabili stritolati «dal sistema», il «ventre legislativo», «il palazzo di giustizia», i giudici, gli avvocati, i volti, i gesti. Daumier è dalla parte del popolo vessato ed escluso. È un maledetto [3]. I suoi disegni sono diffusissimi, ancor oggi, in Italia: la giustizia arcigna, scostante, strana, incomprensibile. Daumier dipinge anche l’ideale della giustizia, senza volto, imparziale, don Chisciotte – che ha però vicino a sé Sancio Panza. Come dire, in linguaggio manzoniano, padre Cristoforo e don Abbondio.

I testi letterari piú importanti sul tema letteratura e diritto sono, forse, i drammi shakespeariani, il Don Chisciotte di Cervantes, le opere di Dikens e di Kafka, i drammi di Brecht. I Promessi Sposi di Manzoni entrano nel catalogo a pieno titolo. Posner, che tratta di diritto e letteratura, analizza molti autori, ma ne omette molti altri: per esempio, non tratta di Cervantes. Evidentemente lo ritiene poco rilevante per la cultura anglosassone della rule of law ed è infatti cosí, perché la giustizia della rule of law riposa su tutt’altra base: quella materialistica [4]. Comunque, anche per la giustizia di common law è in qualche modo rilevante la giustizia dei cavalieri erranti, quanto meno perché serve come punto di paragone, come metro per misurare la distanza che intercorre fra la giustizia di tipo anglosassone e quella cattolico-continentale. In quest’ultima, il Don Chisciotte è rilevantissimo, perché indica l’ideale cattolico di giustizia. Il discorso di Manzoni si innesta nello stesso filone: giustizia misericordiosa, non di tipo utilitaristico.

L’essere e il dover essere, il realismo e l’ideale, la destra e la sinistra: questo il tema. Il giudice equo e umano, e il giudice implacabile (freddo e impassibile). Affronterò alcuni temi di letteratura e giustizia (Cervantes, Don Chisciotte e altri temi) in un’ottica particolare, europea: l’ideale di giustizia secondo la tradizione europea e la realtà della giustizia, ovviamente sempre inadeguata rispetto all’ideale. E tratterò dei Promessi sposi di Manzoni, non nell’ottica crociana di «poesia e non poesia». Molti euroentusiasti si limitano a guardare le strutture amministrative europee, mentre occorre costruire la cultura democratica europea, perché in campo giuridico l’Europa ha due culture: una continentale e una di common law, che bisogna cercare di unificare e fondere.

Il giudice equo, umano

Il concetto, di origine feudale, del buon giudice cattolico è illustrato nel volume secondo del Don Chisciotte, cap. 42. Don Chisciotte dà a Sancio Panza, che si accinge a governare, questi consigli: «di tutto ciò che la moglie del giudice riceve, dovrà rispondere il marito». Il giudice deve essere compassionevole verso il povero, senza per ciò rinnegare i principi di giustizia; può ricevere doni ma, ciò nonostante, deve sforzarsi sempre di essere imparziale, di scoprire imparzialmente la verità; deve dare ragione a chi ce l’ha, non a chi gli ha elargito i doni. «Se qualche bella donna venisse a chiederti giustizia, distogli gli occhi dalle sue lacrime e l’udito dai suoi gemiti, e considera con calma la sostanza di ciò che chiede, se non vuoi che la tua ragione anneghi nel suo pianto e la tua bontà nei suoi sospiri». «Se ti capitasse di giudicare una causa di qualche tuo nemico, allontana il pensiero dell’offesa ricevuta e concentrati nella verità dei fatti». Il giudice può essere parziale ma solo in favore dei poveri e degli afflitti: «Se per caso tu dovessi far piegare la bacchetta della giustizia, non sia per il peso del dono, ma per quello della misericordia».

Splendida massima di giustizia medievale. Ed eccone una valida sotto tutti i cieli: «Non maltrattare con le parole colui che devi castigare coi fatti, perché a quel disgraziato basta la pena del supplizio, senza l’aggiunta delle tue male parole». E ancora: «Considera l’accusato che cade sotto la tua giurisdizione un infelice soggetto alla condizione della nostra cattiva natura, e, per quanto dipende da te, senza far torto alla parte avversa, mostrati con lui pietoso e clemente, perché, sebbene gli attributi di Dio siano tutti eguali, ai nostri occhi risplende e risalta di piú quello della misericordia che quello della giustizia» [5]. Rimarco: la misericordia, attributo di Dio, risplende piú della giustizia. Il contrasto fra questo concetto di giustizia e quello benthamiano-utilitarista-borghese è palese [6]. Don Chisciotte diceva cose sagge, commenta Cervantes con il suo abituale sorriso, perché profferiva «spropositi solo quando lo si toccava nella cavalleria» [7]. Cervantes esprime la cultura cattolica dei secoli sedicesimo e diciassettesimo. Manzoni la ricostruisce.

Un’altra massima di cultura cattolica, tratta dal Don Chisciotte, presente nella cultura e nella sensibilità di tutti i giudici italiani: «La fama del giudice severo non è migliore di quella del giudice compassionevole». Ma il protestantesimo ha portato in Europa una cultura diversa.

Quando il giudice si allontana

Prendo ora in considerazioni altre delle molte pagine notevoli del Don Chisciotte. Nel libro primo, cap. 6, un contadino frusta il giovane servo Andrés. Don Chisciotte ne domanda la ragione e viene a sapere che è solo perché richiede il suo salario e diventa immantinente un giudice del lavoro ante litteram. Ordina al contadino di slegare il giovane e di pagarlo. Il furbo contadino: «Il male è, signor cavaliere, che io qui non ho denaro, venga Andrés con me a casa e io lo pagherò in denaro contante». «Andarmene con lui?» – dice il ragazzo – «un accidente! No, signore, neanche per sogno, perché, vedendosi solo, mi scorticherà come San Bartolomeo». «Non lo farà» – afferma don Chisciotte – «basta che io glielo ordini perché mi porti rispetto; e, purché me lo giuri per la legge della cavalleria che ha ricevuto, lo lascerò andare libero e mi renderò garante della paga». «Signore, stia bene attenta la signoria vostra a quel che dice, ché questo mio padrone non è cavaliere e non ha ricevuto nessun ordine di cavalleria; è Juan Haldudo, il riccone, che abita a Quintanar». Ovviamente il contadino giura «per tutti gli ordini di cavalleria» che darà al suo servo tutto quanto gli spetta e, ovviamente, non mantiene la promessa [8]. Nello sviluppo del romanzo (libro primo, cap. 31) abbiamo il secondo incontro con Andrés [9], Don Chisciotte apprende che il contadino non solo non gli ha dato il suo salario ma, appena egli si è allontanato, lo ha legato di nuovo ad un albero e gli ha dato tante di quelle frustate da lasciarlo «scorticato».
I cavalieri erranti non possono essere sempre presenti a protezione del debole [10]. Cosa accade quando si allontanano? Ce lo dice Cervantes, che ride di don Chisciotte: la giustizia dei cavalieri erranti ha un suo preciso limite, perché non può essere sempre presente. I deboli devono, quindi, cercare di provvedere da sé per l’autodifesa, associandosi, sindacalizzandosi, e quella dei cavalieri erranti può essere solo una giustizia di complemento.

Ognuno se l’aggiusti da sé col suo peccato

Don Chisciotte libera dei galeotti condannati trascinati in catene come bestie, ma sono esseri umani. Cervantes condanna questa pazzia di Don Chisciotte. Appena liberi, i galeotti lo malmenano ma lo fanno perché chiede loro cose assurde [11]. Don Chisciotte è un pazzo. I galeotti erano stati condannati dai giudici in regolari processi. Ma quanto regolari? Don Chisciotte interroga i condannati. Io sono qui perché non avevo venti ducati. Se li avessi avuti avrei «unto la penna del cancelliere e auguzzato l’ingegno del procuratore». La giustizia è corruttibile, i giudici non sono imparziali, sono influenzabili. E stanno dalla parte dei ricchi, come il riccone di Quintanar. Io sono qui perché mi sono innamorato, non di una donna, ma di una cesta di biancheria... Al termine degli interrogatori don Chisciotte emette la sua sentenza: considerati i vari episodi, vera giustizia non è stata fatta. Slegateli e lasciateli andare, intima al commissario. «Quale balordaggine!», dice il commissario. «Raddrizzi il bacile che ha in testa” e vada via». «Enorme sproposito» volere la libertà dei galeotti, commenta Cervantes, dopo che don Chisciotte è stato ben malmenato. Don Chisciotte si rivolge alle guardie: voi siete uomini che trattate in questo modo altri esseri umani; non potete ridurvi a essere meri strumenti – «ognuno se l’aggiusti da sé col suo peccato».

Da notare che i galeotti sono convinti che le loro colpe vadano punite – non contestano la «giustizia del re». Uno solo protesta per il modo di esecuzione della pena, essendo tenuto «al guinzaglio come un cane», ma è precisamente ciò che colpisce don Chisciotte sin dall’inizio. Cervantes tratta di cose di cui ha personale esperienza: catturato dai corsari turchi, vive da schiavo per cinque anni; in seguito sperimenta il carcere piú volte, la prima volta a Siviglia, nel 1602, e forse è proprio in prigione che concepisce il suo grande romanzo.

Il criterio di giustizia dei cavalieri erranti

Vanno rimarcate due interpretazioni del Don Chisciotte: 1) Cervantes scrive il romanzo per denunciare le favole della cavalleria, i miti dei cavalieri erranti; per dire agli uomini che devono guardare le cose come sono effettualmente; 2) Cervantes enuncia un ideale di giustizia, un dover essere che deve sempre essere perseguito da ogni animo retto.

La prima interpretazione emerge chiaramente dal testo del romanzo, ma, ciò nonostante, esiste e persiste la seconda interpretazione. E a questa seconda si lega un’ulteriore interpretazione pessimistica: Don Chisciotte è uno squilibrato che cerca di fare giustizia in questo mondo, dove la realizzazione della giustizia è impossibile. Perché? Perché i giudici sono giudici di classe? Nel mondo reale – ci diranno nei secoli successivi Adam Smith, David Hume, James Madison e Karl Marx –, la giustizia è funzionale, finalizzata alla difesa della proprietà e del possesso; non è neutrale, non può esserlo, prima di tutto perché i giudici applicano le leggi, che neutrali non sono.

Qual è il criterio di giustizia dei cavalieri erranti? Il giudice può essere parziale, ma solo in favore dei poveri e degli afflitti. È una bestemmia per la giustizia concepita alla Hume, alla Smith, alla Bentham. Il giudice deve essere compassionevole, dice don Chisciotte. Ma il giudice di classe, impegnato in difesa della proprietà, del possesso e delle obbligazioni, non deve essere compassionevole, deve essere, invece, «freddo e impassibile» [12].


Note:

[1] Cfr. R. A. Posner, Law and Literature, Cambridge, Massachusetts, London, Harvard University Press, 1988; Legal Fictions, Ed. by J. Wishingrad, New York, The Overlook Press, 1992.
[2] Cfr. R. A. Posner, op. cit., p. IX ss.
[3] Daumier fa le sue caricature sotto Luigi Filippo, il re borghese. Denuncia la corruzione, viene arrestato e resta in carcere per sei mesi. Critica, poi, Luigi Napoleone e denuncia la falsa indipendenza della magistratura di tipo bonapartista.
[4] Cfr. V. Accattatis, La concezione materialistica dello Stato e della giustizia, «Il Ponte», n. 7, luglio 2006.
[5] Cito da Miguel Cervantes Saavedra, Don Quijote de la Mancha, Barcelona, Editorial Bruguera, S.A., 1972, p. 742 ss.
[6] Cfr. V. Accattatis, loc. cit.; J. Steintrager, Bentham, London, George Allen & Unwin Ltd, 1977.
[7] Cfr. M. Cervantes, op. cit.
[8] Cfr. M. Cervantes, op. cit., p. 44 ss.
[9] Cfr. M. Cervantes, op. cit., p. 275 ss.
[10] Anche nei Promessi sposi si trova un discorso analogo.
[11] Cfr. M. Cervantes, op. cit., prima parte, cap. 12, p. 170 ss.
[12] Cfr. J. Steintrager, op. cit., p. 27