Liberazione Magistrati scomodi “Il giudice nello stato liberaldemocratico”, un saggio di Vincenzo Accattatis sull’autonomia della magistratura Tonino Bucci 16 dicembre 2003 Un pregiudizio abbastanza diffuso dipinge il mondo del diritto come un’ossatura di astrazioni morte, separate dalla realtà dei rapporti sociali. Un simile apparato di sovrastrutture non meriterebbe, quindi, d’esser studiato. Per di più un tale pregiudizio è stato spesso confuso con un atteggiamento rigorosamente marxista, equiparando la In altri termini, «la storia del diritto, e, in particolare, quella della magistratura, deve essere collegata con la storia politica, economica e sociale di un paese»: lungo questo filo conduttore si muove la ricerca di Vincenzo Accattatis, autore del saggio Il giudice nello stato liberaldemocratico (Il Ponte Editore, pp. 186, euro 10,00). Il punto di partenza è che occorre svincolare il discorso dallo specialismo e affrontare la storia delle organizzazioni dei magistrati come una vicenda legata alle lotte per la conquista della democrazia. E’ la crescita di «presenza alternativa delle organizzazioni democratiche nella società (dei partiti di sinistra, dei sindacati operai, degli studenti, delle organizzazioni culturali democratiche)» ad aver reso possibile un «uso alternativo del diritto», l’organizzarsi dei magistrati in un potere autonomo nella società. Non è un caso, quindi, che i magistrati italiani decidono di associarsi sulla spinta dei conflitti sociali e dei primi partiti di massa alla fine del XIX secolo. Lo Stato industriale, le associazione operaie, il partito socialista, la cultura marxista, la dottrina sociale della Chiesa sono tutti segnali che la società italiana si politicizza, «e con essa i giudici, che cominciano a riunirsi e a discutere». Il primo dibattito significativo è quello che contrappone il conservatore Sonnino al liberale progressista Giolitti: se il primo «vuole che la magistratura resti dalla parte dello Stato liberale tradizionale», il secondo ammette un certo margine di “tolleranza” dei conflitti sociali e vede nell’indipendenza della magistratura una garanzia di neutralità fra capitale e lavoro. Ha origine da qui lo scontro, che si protrarrà per tutto il ’900 fino ai giorni nostri, tra l’ipotesi conservatrice di una «indipendenza come separatezza» e quella progressista di «un’indipendenza in funzione di uguaglianza e di neutralità», di apertura alla società. |